Tania, Camilo, il Che.
Come non andare al Museo de la Revolución? Mi affascina in particolare la storia di Tania, Tamara Bunke, un'avventurosa argentina figlia di tedeschi sfuggiti al nazismo che, dopo aver passato la giovinezza nella Germania Est, fu a Cuba subito dopo la rivoluzione, partecipò alla zafra (la raccolta di canna da zucchero) divenne interprete e forse intima del Che, fece l'agente segreto per i cubani in Bolivia e finì per morirvi uccisa a fianco del Che, dopo una vita - breve ma intensa - passata a pompare adrenalina.

In tutte queste storie eroiche c'è sempre un risvolto un po' meno agiografico. Bella, intelligente, generosa, affascinante, secondo alcuni Tania era anche un agente addestrato dalla STASI utilizzato dal KGB per sorvegliare il partito fratello. Possibile.


Ogni tanto mi chiedo cos'è che spinga queste persone eccezionali che poi, a seconda dei casi della vita, possono diventare eroi o traditori, o magari invecchiare in un anonimato grigio. Non possono essere solo i denari. Forse la voglia di scoprire i propri limiti, una certa attrazione per il rischio e per la morte, forse anche una grande generosità, o il patriottismo, o il sentirsi dentro una missione, chi lo sa. E probabilmente non ha nessuna importanza. In ogni caso, Tania condivise i pericoli dell'insurrezione boliviana e la guerriglia a fianco di Guevara, e in Bolivia trovò la morte. Oggi è sepolta a Santa Clara nel mausoleo del Che.


Quando Tamara morì non aveva ancora compiuto trent'anni. Questa è l'ultima foto che ne possediamo. Di lei ha scritto un bellissimo ritratto Pino Cacucci in Ribelli!, Feltrinelli Editore, 2001.

Tania era anche il nome di battaglia di Mara Cagol, moglie di Curcio, morta in uno scontro a fuoco tra carabinieri e brigate rosse. Un'altra storia molto simile.

Ma nella sala principale, dedicata al Che e a Camilo, il Guerrillero Heroico e il più amato tra i rivoluzionari - e ambedue, si sussurra, fatti fuori con l'approvazione dei fratelli Castro, a cui davano non poco fastidio - c'è un orrendo diorama coi due guerriglieri di cera che sbucano dalla Selva. I turisti in sandali e calzacorta ci si mettono davanti per una foto ricordo. Che tristezza. Che brutta fine, due rivoluzionari spavaldi e guasconi come loro imbalsamati nell'oleografia ufficiale del partito.











L'ufficiale della inteligencia.

E' un bell'uomo, atletico, sui quaranta. Ci siamo incontrati per una questione di lavoro, e adesso mi sta dando un passaggio all'aeroporto, guidando piano nel traffico scarso del tardo pomeriggio. Sarà perché sa perfettamente chi sono, sarà perché sto partendo, sarà perché siamo soli, ma si sente abbastanza sicuro da lasciarsi andare.

"Io amo profondamente Cuba." mi dice "Noi cubani andiamo pazzi per quest'isola, e i cubani all'estero soffrono terribilmente per la nostalgia, anche quelli che stanno a Miami. Ma è dura viverci."
Lei parla un ottimo inglese, ho sentito. Ha viaggiato?"
Con una mano si riavvia i capelli, sorride:
"Oh, sì, ho viaggiato. Pensi, ho perfino un diploma in amàrico."
"La lingua etiopica? Era in Africa ai tempi della guerra tra Etiopia e Somalia?"
Sorride ancora, con una punta di nostalgia:
"Eh, sì."
"Militare?"
"Uhm ... non esattamente. Ero nella Inteligencia."
"Ah. Sottufficiale o ufficiale?"
"Ufficiale. Sono arrivato giovanissimo al grado di maggiore. Sa, in guerra la carriera è veloce. Mi piaceva, la inteligencia. Era il lavoro della mia vita."
"Ma...?"
"Ma quando tornai a Cuba e mi accorsi che una bottiglia d'olio costava un dollaro e ottanta, e io guadagnavo quindici dollari al mese... beh, avevo due figli: ho dovuto scegliere."
E continua:
"Lei ha sentito, per caso, che sono state fucilate tre persone?"
Perché credi che sia qui? penso. Ma lo lascio andare avanti.
"Ma si rende conto? Hanno dirottato un traghetto e li hanno fucilati...
Dàgli dieci anni, dàgli vent'anni, ma el paredón no. E' un grande errore, ci farà perdere le simpatie dell'Europa, che in questo momento è così importante per la nostra economia. D'altro canto, la storia di Cuba è costellata di errori e di cose strane, senza spiegazione..."

Se non lo sai tu che ci eri in mezzo, penso...

"Un mistero è la morte di Camilo Cienfuegos. Un aereo cade in mare e le pare possibile che non si sia trovato nemmeno il più piccolo pezzettino, nemmeno il più piccolo frammento di relitto? Quando la CIA fece esplodere l'aereo della Cubana trovammo centinaia di relitti in mare. E dell'aereo di Camilo nemmeno un pezzettino di fusoliera, un giubbotto di salvataggio, un cuscino di gommapiuma? Niente corpi?"
"E qual'è l'ipotesi?"
"Guardi, io non c'ero, ma probabilmente Camilo è sepolto da qualche parte a terra, assieme al suo aereo. Una settimana dopo la sua scomparsa fu ucciso l'operatore della torre di controllo, poi ci fu una catena di suicidi misteriosi..."
"Anche la morte del Che è misteriosa... "
"Non mi faccia parlare. Le dico solo che la colpa è di chi gli rese la vita impossibile a Cuba."
"E Ochoa, il generale che fu fucilato perché accusato di contrabbando di droga?"
"Guardi, io non c'ero..."
E dagliela. Non c'eri mai? Se Ochoa era il comandante delle forze cubane in Africa!
"... ma le dico una cosa: Ochoa non ha mai intascato un centesimo delle partite di droga che passavano da Cuba."
"Ha pagato per qualcun altro?"
"Guardi, io non dico nulla. Le dico solo che il Generale Ochoa è morto con onore, da soldato.".
"E' morto per coprire qualcun altro? Qualcuno più in alto?"
Mi lancia un'occhiata desolata, scuote la testa e continua a guidare piano, nel traffico scarso di questo tardo pomeriggio cubano.







Nota sul precedente post.

Il 14 luglio 1989, il Consiglio della Rivoluzione comunicò la fucilazione del Generale Arnaldo Ochoa, Eroe della Repubblica di Cuba, compagno di Fidel sulla Sierra: il soldato più decorato dell'isola, protagonista delle campagne in Angola, adorato dai giovani ufficiali, designato Comandante dell'Armata d'Occidente. Di fronte a un tribunale militare speciale, Ochoa era stato condanato a morter per il contrabbando di 6 tonnellate di cocaina tra Colombia e USA, per un totale di 3,5 milioni di dollari.

Con lui era stato fucilato anche il colonnello Antonio (Tony) de la Guardia, della inteligencia. Amico personale di Castro, de la Guardia si occupava di operazioni delicate, come contrabbandare dagli USA computer sofisticati (e proibitissimi) per il Ministero dell'Interno e procurare valuta americana per aggirare l'embargo. Lo chiamavano il James Bond cubano. Si occupava, in Angola, di contrabbando di avorio e di diamanti. Era anche uno degli uomini chiave nel traffico di coca, che veniva spedita in aereo dal cartello di Medellin, sbarcata in aeroporti militari cubani e poi fatta proseguire per Florida su motoscafi veloci.

Impossibile che il governo non ne sapesse nulla. A certi livelli - anche nei Paesi europei - la droga è una materia prima come il rame o il petrolio. Probabilmente c'era un piano di Castro per portare al Paese valuta pregiata e, contemporaneamente, destabilizzare gli USA con la droga.

I cubani, compreso il mio maggiore della inteligencia, dicono che Ochoa si sacrificò per altissimo senso del dovere: un'accusa di traffico di droga contro Fidel e Raúl Castro avrebbe costituito una minaccia mortale per la Revolución.

Ma c'è chi dice che Castro prese due piccioni con una fava: Ochoa, aveva studiato all'Accademia Militare Sovietica, simpatizzava per Gorbacev (con cui aveva parlato in russo di fronte a Castro quando il presidente sovietico era venuto in visita a Cuba). Forse, assieme ai suoi generali, aveva premuto un po' troppo per portare la glasnost e la perestrojka anche all'Avana. Fu un processo staliniano: immediatamente dopo la sua condanna Cuba cominciò a riscrivere la storia: da eroe nazionale, Ochoa fu duramente diffamato e coperto di fango come traditore della Patria.

Ampi estratti del processo Ochoa sono reperibili a:

http://cubapolidata.com/cafr/cafr_ochoa_affair.html







Sull'eccezionalità degli eroi.

Mi scrive un regista che molti di voi conoscono, e che anni fa ha tenuto un corso alla scuola di cinema dell'Avana, quella diretta da Gabo Marquez:

"...ti dirò una cosa che mi raccontava Diego, uno degli autisti che ogni tanto facevano servizio per la scuola di cinema di S. Antonio de Los Baños, ex pilota di Mig nelle guerre che i cubani hanno combattuto in Africa, coetaneo di Che Guevara, e che all'epoca faceva parte del ristretto gruppo di uomini a disposizione di Guevara 24 ore su 24 come guardia personale.

Diego, dopo che eravamo entrati in confidenza perchè chiamavo sempre lui, e dopo una buona dose di Rum, mi disse più o meno: "El Hombre estava paranoico. Non si fidava di nessuno. Era maniaco delle armi. Fijate que soffriva di insonnia , e andava in giro a fare agguati alle sentinelle, per vedere se stavano in allerta. Gli sparava addosso. Ogni tanto ne feriva qualcuno, che poi spariva e non si vedeva più.

Gli dissi che mi ricordava il baffuto capitano Monesi, dell'8° reggimento Lancieri di Montebello, che di notte amava fare le improvvisate ai piantoni, col colpo in canna, o li assaltava con la baionetta. A differenza di Guevara, Monesi prese una vassoiata d'acciao in testa da tale Cocuzza, napoletano con qualche lieve precedente penale addetto alla sala mensa, e finì la sua carriera su una sedia a rotelle, pensionato dello stato.

Lui scoppiò a ridere e mi disse, più o meno: 'Guarda com'è buffa la vita. Se questo stronzo del tuo capitano coi baffi nasceva a Cuba, magari diventava eroe nazionale'."

Sandro







Meglio aver avuto un sogno o non averlo mai avuto?

Cuba è alla fame? Largamente. Ma Sandro mi scrive ancora:

"Anche in Guatemala o Portorico o Belize o Panama i poveri sono tanti, ma stanno ancora peggio e sono sempre incazzati, è pieno di armi e per strada ti saltano addosso, e la polizia ne garrota un bel mazzetto al giorno senza che la cosa faccia notizia . E' il risultato delle demo-dittature centroamericane filo USA. Insomma: non so se è meglio almeno per un periodo aver avuto un sogno, che pure è caduto a pezzi, o non averlo mai avuto. Chissà. E qua si ferma la mia facoltà di capirci qualcosa."







Come andrà a finire?

Impossibile dirlo, in questo momento. Di certo su Cuba aleggia la paura di un intervento armato degli USA, ma allo stato è impossibile dire se sia una possibilità concreta o solo l'astuta mossa di propaganda di un vecchio libertador che il tempo ha trasformato in tiranno, e che ha una paura fottuta di uscire dalla storia.

Che sia lo scontro tra due paranoie? Quella del vecchio guerrigliero, che dopo aver dato tanto a Cuba dovrebbe avere la decenza di andare in pensione, e la paranoia di quell'altro, l'ex petroliere che ha deciso di imporre con la forza il suo ordine al mondo?

Beffardo, il mare di Cuba spazza con le sue ondate il Malecón, forse in attesa di altre barchette di legno allo sbaraglio, di altri tentativi di fuga, di altri morti. O forse di barche più grandi, di ferro, cariche di marines.








Ballata di sesso cubano.



Via, via dall'Avana con le sue jineteras e le sue puttane, il suo caldo soffocante e il suo casino, i suoi vicoli che puzzano di fogna e di miseria. Voglio un break dalle nere che cercano di portarti a letto e dai mulatti che ti asfissiano per strada proponendoti sigari, un taxi, un paladar o (in ottimo italiano) "Amigo, se ti piace la figa ti faccio impazzire".



Datemi un po' della Cuba incontaminata, un posto dove non ci siano turisti, dove la gente sia ancora vera e spontanea, dove nessuno ti veda come un bancomat a due gambe. Via verso la costa, verso un angolino sperduto dove c'è poco turismo e la gente è ancora semplice e non guastata dal dollaro!

Sulla vecchia Peugeot 306 che ho noleggiato, piena di graffi e ammaccature, lascio la capitale. Bei posti, bei panorami, colline coperte di canna da zucchero e di tabacco. La strada è lunga e piacevolmente lenta, si guida a un passo d'altri tempi. A Cuba si fa una media di quaranta, massimo cinquanta chilometri all'ora. La benzina scarseggia, spesso le guaguas - le corriere - non partono per mancanza di carburante. Tutti si spostano pediendo botella, cioè facendo l'autostop. Carico tutti quelli che mi ispirano e faccio diversi incontri piacevoli, a parte un paio di ragazzi che escono dalla macchina dopo essersi infilati le mie scarpe nello zaino. Ma me ne accorgo, loro si accorgono che me ne sono accorto e tornano con la coda fra le gambe dicendo: "Perdone, perdone, perdone!". E tte credo, è pieno di polizia: il primo furto sono quattro anni secchi, poi la pena aumenta.

Dopo ore e ore di viaggio, quando ormai mi sto avvicinando al mare, carico tre donne: una giovane carina di nome Nita, una Ondina anzianotta e sua sorella, Ramona, che ha l'aria di una linda maestrina quarantenne: ben vestita, occhialini d'oro, ottimo spagnolo.



Si parla del più e del meno. Stanno a Guaracabuya, un paesino di pescatori a quindici chilometri dal resort di Santa Maria. Quando chiedo "Ehi, non c'è nessuno che affitti una camera o faccia da mangiare, a Guaracabuya?" mi pare d'intravvedere Ramona che lancia un'occhiata d'intesa alla giovane, ma non ci faccio troppo caso.







Señor, usted es maricón?



La casa della Flaca non mi va per niente, e alla figlia non ci penso neanche di striscio (anzi, sì, lo confesso: di striscio ci ho pensato, eccome, ma, come si dice a Napoli, proprio non è cosa).
Per fortuna scopro che la locale stazione meteorologica affitta quattro stanzette ai viaggiatori. Lo stile è militare, le pareti sono verniciate in verde caserma e l'arredamento è spartano: due brandine, due sedie e un comodino. Ma c'è la doccia, c'è il condizionatore e le lenzuola sono immacolate. Andrà benissimo.

Al mare, al mare! La natura è un sogno, qui, chilometri e chilometri di spiagge deserte orlate di palme e mangrovie. Migliaia di granchi rossi attraversano la strada. E' la stagione degli amori, scendono dalla montagna per deporre le uova in mare. La striscia d'asfalto è un tappeto brulicante di granchi in movimento. Impossibile non schiacciarne qualcuno. I gusci fanno crick crash sotto le ruote della macchina. Avvoltoi grossi come tacchini si posano a becchettare i cadaveri, e si spostano pigramente quando arrivi.

Ma il mare: Dio, il mare è una meraviglia, caldo, trasparente come ai tempi in cui fu creato il mondo. Le spiagge bianchissime, di corallo. Trovo un posto carino, c'è un gruppo di simpatici cubani chiassosi, non mi dispiace un po' di calore locale. Li saluto e mi metto un po' in disparte. Ma non esiste restare in disparte, a Cuba: entro dieci minuti mi hanno già chiesto in prestito la maschera, offerto un bicchierino di ron e coinvolto in una chiacchierata sull'Italia, su Cuba e, naturalmente, sulle chicas.

Uno di loro, Juan Carlos, sui quaranta, mascella grossa e naso rincagnato da pugile, il torace come una botte, mi indica una ragazzina dai capelli lunghi che si tuffa. Una silfide, magra, acerba, le tettine appena accennate, il sedere ancora da ragazzino: "E che ne dici, questa non ti piacerebbe? Tredici anni! La vuoi?"
"Mah, sarà meglio di no, Juan Carlos, grazie! Sono un po' troppo vecchio, non trovi?" rido.
"Ma tu sei quello che ha portato qui Ramona?" interloquisce una specie di strega.
"Sì".
Ovvio, quindici case, si sa tutto di tutti.
"Io sono la sorella di Ramona! Mi chiamo Jessica, mucho gusto!"
"Mucho gusto!" sorrido. Ma questa Ramona è sempre in mezzo?
"E quante sorelle ha Ramona?" chiedo.
"Siamo in dieci tra fratelli e sorelle! Mezzo paese!"
"Ah, però" faccio. Tutto si spiega.
" E allora, italiano!" urla Juan Carlos "Che chica ti scegli per stasera?"
Ha gli occhi rossi, biascica. Cazzo, è ubriaco, mi alita addosso col fiato carico di ron. La situazione sta diventando pesante. Mi scuso:
"Mah, vedremo. Scusa, sono un po' stanco. Mi sdraio un po', bueno?"
"Bueno!" ride fragorosamente, scuotendo il suo torace a botte.
Mi sdraio sul mio asciugamano, mi appisolo per qualche secondo. Ma piano piano, con la coda dell'occhio, vedo che mi si sta avvicinando Raúl, magro, sdentato, occhio famelico.

"Italiano..." mi sussurra.
"Che c'è, Raúl?"
"Stai attento, Juan Carlos è ubriaco, ti vuole fare qualche scherzo... "
"Che scherzo?"
" Non lo so, ma sono tutti d'accordo, ti vogliono mettere in mezzo..."
"Ah, sì?" Che meraviglia, il colore locale.
"Senti, italiano..."
"Dimmi."
"Proprio non ti va una chica?"
Che due coglioni.
"No, Raúl, no... grazie, comunque."
"Senti ... allora ...più tardi ..." strizza l'occhio " perché non prendiamo una bottiglia di ron e non ce ne andiamo io, te e il marito di Ramona in una caletta tranquilla? Facciamo due chiacchiere... ci divertiamo un po' ..."
Mi sorride ammiccante con la bocca sdentata.
Oh cazzo, ma dove sono capitato? Qui tutti trombano con tutti? Ramona ha un marito maricon? Mi metto a sedere. Cerco di essere fermo e calmo:
"Grazie, Raúl, ma non mi interessa. Sono un uomo sposato, non mi interessano le chicas &endash; e los hombres mi interessano ancora meno. Claro?"
"Oy, amigo, bueno, bueno, non ti arrabbiare! Tranquílo!"

Tranquílo un cazzo. Sembra che qui non pensino ad altro che a farmi scopare. E poi cos'è questa storia che sono tutti d'accordo? In che senso, vogliono mettermi in mezzo? Cosa vuole da me torace-a-botte? E questa Ramona che salta sempre fuori? Sono un po' incazzato e anche un po' preoccupato. La macchina l'avevo chiusa a chiave, controllo che non manchi niente. Saluto, mi metto al volante e me ne vado alla Stazione Meteorologica.







Due simpatiche puttanine.

Davanti alla stazione meteorologica c'è il Ranchón: una capanna con un bar, un gazebo, sedie e tavoli di plastica e un barman simpatico, Luis.

Invito per una birra il radarista e il meccanico della stazione.



Il primo, Alberto, sta al radar e avvista gli uragani. Il secondo, Pacho, si occupa dei quattro gruppi elettrogeni Skoda, (che non funzionano) e del quinto gruppo, un Iveco, l'unico che va. Fanno turni di 36 ore di guardia e 72 di riposo. Non è un brutto lavorare.



Al bar ci sono anche due ragazze, la India e la Rubia. La India ha, appunto, la faccia da India. La Rubia è biondiccia e sudaticcia, ha un cuore alato tatuato sui lombi e un pizzico di strabismo di Venere che le dà un'aria attonita e svagata.



Le ragazze sono simpatiche, chiacchieriamo, ridiamo. Alberto, il radarista, poggia una mano sul culo della bionda: "E allora, italiano, non ti andrebbe di divertirti un po'? Questa chica, se vuoi, ti fa morire!" La chica mi sorride con l'occhio destro, mentre col sinistro punta l'orizzonte.
E una fissazione. Tutto il paese si preoccupa delle mie necessità sessuali. Sono commosso, ma...
Chiedo alla India:
"E tu che lavoro fai?"
Lei mi guarda con un sorriso dolce:
"Oh, io lavoro sulla carretera..."
Luis, il barista ammicca, versandomi una birra: "Dai, amigo, che queste due ci vanno forte. Puoi averle anche insieme, se vuoi! Non ti andrebbe una bella tortilla?"



Ma che tonto, che sono. Le tortilleras sono le lesbiche. Ovvio, Guaracabuya è un terminal di camionisti, è l'ultimo paesino sulla strada. Le due ragazze fanno servizio sociale, qui al Ranchón. Infatti faccio un giro intorno alla capanna e, da una porta aperta, intravvedo un letto matrimoniale.

Chiaro: il simpatico Luis offre le 3C: Cerveza, Camarones y Chicas. Vabbè, niente di grave, molto meglio di torace-a-botte che mi offre le tredicenni.



La India comincia a corteggiarmi un po', ma con garbo. Voglio andare con lei in discoteca, stasera?
"Ma sì, India, vediamo. Dopo cena, se siete qui possiamo anche fare un salto, OK?"

A cena ho deciso di accettare l'invito di Ramona, che per dieci dollari mi cucinerà l'aragosta. Sembra una ragazza pulita, ha un ragazzino, dovrebbe essere una cena tranquilla.







Aragosta con contorno di chica.

Alle otto è già buio pesto. Davanti a casa di Ramona c'è un gruppetto di persone. Le illumino coi fari: lei, con un semplice vestitino bianco, si stacca dal gruppo (nel buio mi pare di intravvedere Juan Carlos, quello col torace a botte, ma non ne sono sicuro) e mi viene incontro, tutta seduttiva:

"Eccoti qua! La langosta è pronta!" mi sussurra. L'aragosta sarebbe proibita, è monopolio di stato e la servono solo nei ristoranti statali, ma qui non si sta tanto a guardare il capello: questi escono con le loro balsas di assi e camere d'aria, buttano le nasse e la notte le ritirano coi crostacei dentro, incazzati neri, pronti per la pentola.

Entro in casa: c'è una ragazzetta sui diciotto-vent'anni con molto sangue indio e gli occhi da volpe che mi fa un gran sorriso. E questa chi è?

"Ti presento Tití." mi fa Ramona.
"Hola, italiano!" Tití mi fa un largo sorriso.
"Una delle dieci sorelle?"
"Solo un'amica."



Un'amica. Già, già. Mi siedo a tavola.
Ramona mi si avvicina, mi accarezza il braccio e mi sussurra, complice:
"E dopo cena cosa vuoi fare?"
"Boh. Poi si vede."
"Ma non vai in discoteca con la India, vero? Promettimi che non vai con lei!"
Ma che ne sa lei che devo andare in discoteca con la India? Qui sanno subito tutto? Cambio discorso:
"Ramona, l'aragosta me l'hai fatta al carbón, come eravamo d'accordo?"
"Certo, è al carbón!"
Ma che carbón. E' fritta in padella, ed è pure fredda. Queste cubane mentono come respirano.
Il piatto è zozzo, Ramona si è scordata la birra, le patate sono state fritte un'ora fa e ormai sono appassite, la verdura non mi arrischio neanche a guardarla, l'aragosta è filacciosa e la Tití, che comincia a girarmi intorno con gran sorrisi di seduzione, ha la faccia sempre più volpina.

Poi Tití chiama Ramona in cucina. Le sento che discutono, ma non capisco cosa si dicono.

Tití esce. Rientra con un uomo (il marito di Ramona? Quello che voleva inchiappettarmi assieme a Raúl lo sdentato? O il marito di Tití, che aspetta la sua fetta di guadagno?) e se ne vanno tutti e tre a parlare in cucina a bassa voce. Io non capisco quello che si stanno dicendo, ma con torace-a-botte e i suoi amici fuori della porta, l'avviso di Raúl lo sdentato e le donne che complottano in cucina, non mi sento per niente tranquillo. Anche perché sono nel buco del culo di Cuba, in fondo a una strada che è un vicolo cieco, unico straniero in mezzo a tutti cubani.

Tití rientra, accende la televisione, Ramona ha l'aria un po' turbata, forse l'uomo le ha fatto il mazzo perché non riesce a concludere; mi si siede vicino, mi prende la mano:
"E allora, italiano, ti piace la Tití?"
Eccola là. Ma come, la maestrina, la Ramona dagli occhialini dorati, anche lei cerca di farmi scopare una ragazza per ritagliarsi la sua percentuale? Ovvio, anche lei fa parte del giro. Ma lo fa in modo veramente goffo. Forse qualcuno la costringe.
"Dille di spegnere la televisione, per favore."
Tití esegue. Poi accende la radio e si mette a ballare, languida, lanciandomi occhiate assassine. Che palle. Lascio a metà l'aragosta fredda e coriacea. Le dico:
"Senti, Ramona, vorrei esser chiaro. Io non pago per fare l'amore, okay? Quindi mettetevi il cuore in pace, tutti quanti. Tieni, questi sono i soldi della cena, anzi, mi autoriduco il prezzo perché non mi è piaciuta, non c'era la birra e in generale faceva schifo. Buonanotte."

Ramona lancia un'occhiata rapida alla porta. Mi alzo, esco lentamente nella notte piena di zanzare. Tití mi fa la linguaccia. Gli uomini sono fermi nel buio, in gruppo, dall'altra parte della strada, di fronte alla casa. Tiro fuori la chiave, apro lo sportello, mi metto al volante, metto in moto. Faccio retromarcia piano. Le luci della retro illuminano gli uomini che mi guardano. Non ridono per niente.







La concha in fiamme.

Al Ranchon non c'è nessuno, solo Luis, che mi serve un ron con ghiaccio.

"La India e la Rubia se ne sono andate" mi fa "hanno trovato un passaggio. Ma tu non eri da Ramona?"
"Sì, Luis, ma non ho mangiato tanto bene."
"Ovvio. Per mangiare bene devi venire da me. E anche per il resto..." ridacchia. "La Tití non ti è piaciuta?"
Ma cazzo, qui davvero si sa tutto!

Arrivano due francesi: sono i miei coinquilini alla Stazione Meteorologica. Sono carini, simpatici, urbani. Mentre la notte tropicale passa lenta e calda chiacchieriamo di Cuba e di viaggi, sorseggiando ron con ghiaccio.
Di donne non parliamo. Che i due ragazzi siano gay? Oddio, sto cominciando a pensare come i cubani. Qui anche l'aria trasuda sesso. Al tramonto ho perfino incrociato due paperotte che se la stavano spassando in una pozzanghera.



Ma ecco un gruppetto che arriva dal paese: l'ineffabile Ramona, Tití, un paio di ragazze che non conosco, Raúl il ruffiano sdentato, un paio di altri uomini e naturalmente Juan Carlos, torace-a-botte. Uh, che palle.

Siedono a un altro tavolino. Dopo un po' la Tití e Ramona vengono a sedersi tranquillamente al nostro. Chiediamo alle due ragazze cosa vogliono bere. Ramona un succo di frutta, Tití un chupa-chups. Luis porta le ordinazioni e Tití comincia a leccare il chupa chups in maniera spudoratissima, puntando il francese. Lui - gli ho raccontato l'accaduto - mi guarda, interrogativo e mi dice:
"Bon, celle-ci me fait bander. Qu'est que tu dit?"
"Laisse tomber" gli rispondo. Tití lo fa tirare? Mi sbagliavo, i due non sono gay.
"Elle m'a dit a l'oreille 'Viente y cinco'. Parait-il que vent-cinq dollars c'est le standard, içi, non?"
"Fais gaffe" taglio corto, non fare cazzate. Non mi piacciono gli uomini che ci guardano dall'altro tavolo, ansiosi di vedere come va a finire la trattativa. Cazzo, un po' di discrezione. Queste cose vanno lasciate alle donne. Non per niente nei vecchi casini c'era sempre una maitresse.

Ramona torna alla carica:
"E allora ... la mia cena non ti è piaciuta?" mi fa, imbronciata.
"No, Ramona, faceva un po' schifo."
Assume un'aria da gattina lamentosa:
"Non ti è piaciuta la cena, non ti è piaciuta la mia casa, non ti è piaciuta la mia amica... non ti piace proprio niente di me?"
Intanto la Tití sta facendo al francese un gioco di occhiate e leccate al chupa-chups che farebbero bander un morto.
"Ma no, tu sei carina" le faccio.
"Vedi? Lì al tavolo c'è mia cugina. Non ti piace?!
In effetti c'è una ragazza che mi guarda, sorridendo.
"Mmm. E quanto costa, tua cugina?"
"Oh, poi vi mettete d'accordo."
Rido:
"Ma Ramona, proprio non hai capito, eh? Le chicas mi piacciono, ma non m'interessano quelle che si fanno pagare!"
Lei mi guarda male e se ne va, imbronciata. Mi viene il dubbio che ci sia qualche malinteso, qualche incomprensione dovuta al gap culturale. Forse per lei è come se volessi andare a mangiare a casa sua senza darle nulla.



Ma il gruppo mica molla la presa. Dopo un po' Juan Carlos parcheggia al tavolo il suo torace a botte:
"Chicos, ma che fate? Cosa aspettate? Al tavolo vicino è pieno di chicas che muoiono dalla voglia di fare l'amore con voi! Sono tutte lì con la concha (*) in fiamme! Hanno bisogno di un europeo per spegnerla!"
E' sudato, ha gli occhi pieni di venuzze rosse, il fiato che puzza di alcool di terza.

"Ragazzi" dico ai due francesi "Mi sa che è meglio se ce ne andiamo a dormire. Qui rischiamo di trovarci il padre o il fratello di una di queste troie che ci ricatta perché ci ha beccato a letto con la verginella. E già che ci siamo, parcheggiamo le macchine dentro il recinto della stazione e sotto i lampioni. Hai visto mai che abbiano voglia di vendicarsi..."

Ci sganciamo con diplomazia. Offriamo un giro di rum a tutti, poi li salutiamo e gli stringiamo la mano, siete stati veramente gentili, purtroppo siamo molto molto stanchi, grazie per la bella serata. Ci danno una buonanotte un po' ingrugnita e restano lì a chiacchierare fra loro. Chissà cosa si dicono. Ramona mi lancia un'occhiata di rimprovero.

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(*) La concha è la conchiglia.







Due nonnetti affettuosi

La mattina dopo è fresca e chiara come le più deliziose mattinate cubane, dal mare spira una brezza profumata di sale e di vele e di viaggi lontani e, cosa ancora più importante, la macchina non ha un graffio. Bene, i locali non se la sono presa. Meno male. Oggi programma sportivo: andrò allo scuba center a una quindicina di chilometri e farò un paio di immersioni, tanto per vedere un po' come sono fatti, qui, i fondali.

Giusto all'uscita di Guaracabuya ci sono due simpatici vecchietti con una bambina bionda, bellissima, tutta infiocchettata nell'abito della festa. Anche loro hanno il vestito della festa. Stanno pediendo botella, facendo l'austostop. Con la carenza di trasporti pubblici che c'è qui in zona come faccio a non tirarli su?

Mi ringraziano, sorridenti.

"Y entonces, amigos, como le pasa?"
"Todo bien señor, todo bien."
Sono simpatici, timidi e rispettosi, sorridenti e molto dolci.
"E questa bimba?"
"La nostra nipotina, señor. Le piace?" mi dice la nonna.
"Bellissima."
"Lei è l'italiano che è andato a cena da Ramona?"
Che due palle.
"Sì, sono io". Vabbè, quindici case, si sa tutto di tutti. "Lei è una sorella di Ramona?"
"No, io no..."
Meno male.
"...ma questo qui - indica il vecchietto - è fratello di Ramona"
E tte pareva. Non è una famiglia, è una holding.
La vecchietta, timidamente, chiede:
"Non le è piaciuta la cena da Ramona?"
Mi viene da ridere. E' incredibile, non è un villaggio, è un cervello collettivo!
"No, non tanto. Ma niente di male, sono cose che capitano."
"Perché non va a comer la langosta da Isolina, stasera?"
"E chi è Isolina?
"Nostra figlia."
"Cioè la nipote di Ramona?"
"Certo: Ramona è sua zia."
"Questa Ramona è la colonna del paese, eh? E cucina bene, Isolina?"
"Oh, sì, benissimo. E non solo cucina. E' sola, è separata..."
Ah, ecco. La guardo nello specchietto retrovisore, fa due occhietti furbi.
Va bene, vediamo dove vuole arrivare. Le chiedo, ammiccando:
"E allora, dopo la cena, ci potrebbe essere anche un ... un dopocena?"
"Ma certo!" Il nonno ridacchia. Quanto sono scemi questi europei, sembra pensare.
"Bene, bene. E quanto costerebbe il dopocena?"
"Oh, non tanto. Es barato (*). Ne parli con Isolina " fa la nonna. "Ha anche una ragazzina di dieci anni ... e un ragazzino di otto."
Uh? Cosa mi sta proponendo la dolce nonnina? Decido di andare fino in fondo:
"E la ragazzina di dieci anni com'è? Carina?"
"Oh, molto carina, señor!"
"E ... quanto costerebbe?"
"Mah, non so, ne deve parlare con la madre..."
"E il ragazzino? Si può fare?"
Ridacchia, come a dire: ma lei è insaziabile!
"Guardi, vada a casa di Isolina. E' l'ultima casa in fondo, vicino alla cisterna, dove c'è un camion senza ruote. Parlate, vi mettete d'accordo. Fermi, fermi pure qui, andiamo in quell'albergo sulla spiaggia."

Escono ringraziando, timidi, gentili, tenendo per mano la deliziosa bimba bionda tutta infiocchettata.

Cara nonnina. Certo che andrò da Isolina. Voglio proprio vedere come va a finire questa storia.

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(*) Es barato: Costa poco.








Una bimba, di notte.

Passo tutta la giornata in barca con gli altri sub. Facciamo un paio di immersioni, ci sono bei coralli, meduse e pesci di tutti i colori: la solita fauna sottomarina. Anche la fauna terrestre è la solita: italiani, spagnoli, olandesi, canadesi, un paio di americani. Si parla delle solite cose. Quella volta, in Malesia, lo squalo balena ... in Borneo i barracuda sono più grossi ... in Egitto i coralli sono più colorati... Essere a Cuba, alle Maldive, in Messico o a Sharm è indifferente, se lo vedi da un resort. Ci trovi il solito nord del mondo autoreferenziale, che parla sempre di se stesso e dei suoi capricci costosi, ignorando quello che succede un chilometro fuori dal cancello, sorvegliato da guardie private che tengono alla larga i legittimi padroni di casa - a meno che non siano sguatteri, camerieri o donne delle pulizie.

Ma la civiltà occidentale - non ci coglioniamo, per favore - ha i suoi vantaggi. Il ristorantino del resort è buono, e per quindici dollari finalmente mangio una cena decente, dopo l'aragosta fritta e fibrosa della sera prima. Indugio a chiacchierare con due pisani piuttosto simpatici (lui è un po' tristolino ma lei ha un paio di labbra sensuali, due pere fantastiche ed è piena di vita: si vede che muore dalla voglia di farsi l'istruttore cubano di sub, nero, atletico e vellutato).
Verso le undici, stanco, monto in macchina e mi dirigo sulla via del ritorno.



Passo davanti all'albergo dove avevo lasciato i vecchietti e chi ti trovo se non loro, con la bambina in braccio? Ovvio, da qui oggi sono passate pochissime macchine, e nessuno li ha caricati. Mi fermo:
"Ehi! Ancora qui?"
"Ancora qui, señor."
"Ma da quanto tempo aspettate?"
"Oh, quattro - cinque ore."
Povera bimba, avrà fame, avrà sete. E' stravolta, stanchissima. I vecchietti, invece, sembrano piuttosto su di giri. Lui ha la camicia macchiata di unto e di vino. La bimba ha in mano un contenitore Tupperware pieno di una roba di un azzurro sconosciuto in natura. Probabilmente un pezzo di torta al puffo. Ai cubani piacciono i colori luminescenti. Si adagia sul sedile posteriore e si addormenta di botto.
"La bimba è stanca, eh?" sorrido. Penso a quante volte la mia bambina si è addormentata come un sasso, appena seduta in macchina.
"Eh, sì. Il sole, le zanzare, la festa..."
"Festa?"
"Sì, c'era una festa in albergo..."

Mi si drizzano i capelli. Ma chiudo la bocca e continuo a guidare nella notte. Non voglio sapere a che tipo di festa, in un albergo a cinque stelle proibito ai cubani, i vecchietti hanno portato quella bambina bionda, tutta infiocchettata, con l'aria così sbattuta. Non ho il coraggio di investigare, e scaccio con fastidio un pensiero vagabondo che non vuole smetterla di ronzarmi tra le orecchie.








Miseria e ignoranza, ignoranza e miseria.

La mattina dopo attraverso il paesino fino in fondo. Eccola là, la casa vicino alla cisterna. Ma che casa... poco più di una capanna.
Chiamo:
"Isolina!"
Esce una ragazza dall'aria spenta:
"Sono io, señor. Viene per mangiare l'aragosta?"
E' spenta, ossuta, ha gli occhi un po' strabici, una canottierina zozza e un paio di quei fuseaux aderenti a cui nessuna cubana pare voler rinunciare. E' spenta, depressa, emana una quantità di energia molto bassa. Ha l'aria di una pila scarica.



"Uhm .. forse sì. Quanto costerebbe?"
"Dieci dollari."
"Al carbón?"
"Certo, al carbón."

Sulla porta si fa un sessantenne baffuto, a torso nudo. Dietro di lui fa capolino una bambina con una canottierina gialla, avrà si e no dieci anni. E' magra magra, pallida, ha l'aria triste e sciatta, ha qualcosa in comune con molte bambine violentate che ho conosciuto: l'aria poco amata, come di un'anima acciaccata e usata, la mancanza di autostima.

Già, l'autostima. L'autostima è un concetto borghese, un problema da civiltà ricche e sazie. Altro che autostima, qui. Isolina è sottonutrita fisicamente e mentalmente, forse il papà - il vecchietto dell'autostop - se la trombava da piccola. Magari si è trombato anche la nipotina. Chi lo sa. Miseria e ignoranza, ignoranza e miseria. E chi è l'anziano baffuto che spunta dalla porta? Ma in fondo, poi, perché me la meno tanto? Mica solo a Cuba. Da noi, in Italia, nel dopoguerra, le madri napoletane non mandavano i figli di sette anni coi marocchini? E l'India, la Cambogia, il Brasile, il Ruanda, il Mozambico, la Colombia, la Tanzania. E quante mamme, in Europa o negli Stati Uniti, offrono le figlie di otto, dieci anni ai loro amanti o a chiunque sia disposto a pagare un migliaio di euro per scoparsi una ragazzina che ancora non ha fatto il pelo? E' solo questione di soldi. I venti dollari che io spendo per una cena potrebbero aiutare Isolina a svoltare per tutto il mese. E se la bambina si prende un cazzo in più o in meno che differenza vuoi che faccia.

Fanculo. La miseria rende la gente brutta e triste. La miseria fa più male della mancanza di libertà. E poi se sei in miseria che libertà è? La miseria ti fa diventare meschino. La miseria puzza, ha l'alito cattivo, le croste in testa e non ti offre vie di scampo.

E la figlia piccola di Isolina, la bambinetta bionda tutta infiocchettata che i nonni hanno accompagnato all'albergo? Che ci facevano due poveracci come loro in quell'albergo?

Mi prende una tristezza immensa, non ce la faccio più a reggere il gioco. Saluto Isolina, dico che per l'aragosta ci penserò e vado sulla spiaggia da cartolina a prendere a calci i coralli stupendi che il mare ha levigato come ciottoli, e a bestemmiare con me stesso, con la vita, con le palme, col mare trasparente e incantato, con la miseria, che è davvero porca, e non è un modo di dire.

FINE

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Nota

La storia è spietatamente vera fino all'ultimo dettaglio. Ho cambiato i nomi degli interessati e dei luoghi: Guaracabuya è una cittadina della provincia di Santa Clara considerata il centro geografico di Cuba, equidistante da qualsiasi altro punto: è il midollo, il cuore simbolico dell'isola, un luogo dello spirito. Il nome mi piaceva, con quel suono di buio dentro, e l'ho rubato.

Mi scuso per la scarsa qualità delle foto, prendetele per quel che sono: poco più che appunti fatti con una macchinetta digitale.

La serie è finita e per parecchio tempo non ci sentiremo più. Grazie per avermi letto. Mi farà piacere, se volete, trovare un vostro commento, un incoraggiamento o un insulto.



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