Che pace.

Me ne sto sul belvedere dal tetto di palma, guardando il mare grigio e le balene che lontano fanno le capriole. Ascolto il respiro immenso dell'Oceano Pacifico. Va bene, il mare sarà brutto, il cielo sarà coperto, ma che pace, qui.







Sequestrino.

Beh, ero quasi offeso. Due viaggi in Colombia, quasi tre mesi in totale nelle città e nelle selve di uno dei Paesi più pericolosi del mondo e mai una rapina, un attacco alla diligenza, un tentativo di rapimento. Appena due tentativi di borseggio andati a vuoto. Che palle.

Finalmente sono stato accontentato.

(E va bene, lo confesso: non sono al mare, quella era una storiella che mi serviva per depistare certa gente che mi stava un po' troppo col fiato sul collo. Ho creato una piccola diversione con la complicità di Gialdinelli e di Vadim, e intanto passavo di qua, nel territorio controllato dalla guerriglia.)

Ero davanti alla chiesa di Tacueyó, un posto sperduto a 2000 metri tra le montagne del Cauca, territorio degli indigeni Paez. Qui il governo colombiano è del tutto assente: la polizia l'hanno cacciata l'anno scorso le FARC in una notte terribile di Kalashnikov e di pipas, rudimentali lanciarazzi che tirano bombole del gas riempite di dinamite e pezzi di ferro. Ogni tanto passa un elicottero dell'esercito, ma vola alto: qui comanda la guerriglia, e le rovine della caserma sono lì a dimostrarlo.


Padre Peter Ssekajugo, parroco di Tacueyó

Sto chiacchierando con Peter, il parroco ugandese nero come il peccato, quando arrivano due guerriglieri col loro bravo Kalashnikov e mi chiedono chi sono e che ci faccio lì.

Io glielo spiego, ma loro dicono che debbono scortarmi al campo, per accertamenti. Niente paura, prenderà un caffè col Comandante Ramòn e tornerà giù subito, dicono.

Beh, perché no, penso io. Andiamo a prendere un caffè col Comandante Ramòn.

Ma Peter si è fatto teso. Lui lo sa chi sono questi: non sono le FARC, formazione che ha comunque una visione politica e una sua prudenza tattica.
I due appartengono a una scheggia impazzita della rivoluzione. Quattro gatti male armati ma pericolosi perché, di base, vivono di taglieggi sulla coca e di rapimenti, e il Comandante Ramòn è un pazzo fissato, un guerrigliero fallito che comanda una banda di ragazzini esaltati, che uccidono senza pensarci un attimo. Hanno visto lo straniero e il capo gli ha detto:
"Portatemelo su, che gli facciamo fare una passeggiata ecologica. Qualche mese con noi gli insegnerà a stare al mondo."

Peter sorride ai due guerriglieri:
"Ma perché volete portarlo via? Non ha fatto nulla. E' mio ospite, cercate di capirmi ... non posso lasciarlo andar via così."
"Con noi sarà perfettamente al sicuro. E' solo una visita, prima di sera glielo rimandiamo giù."

Il più giovane dei due ha quindici anni, è nervoso, l'altro non ne avrà più di venti, si vede che tutto è molto improvvisato. Ma quando uno c'ha in mano un mitra non c'è molto da fare. Padre Peter si alza e dice:

"Bene, se proprio dobbiamo andare andiamo, ma vengo anch'io"

"No padre, lei sta qui."

"Cari ragazzi, non posso. Questo signore è mio ospite, io sono responsabile della sua sicurezza. Massima fiducia in voi e nel Comandante Ramòn, ma non posso lasciare solo un ospite, vi pare? Andiamo."

"Tranquillo, Peter, vado e torno" gli dico io, che ancora non ho capito un cazzo.

Mi lancia un'occhiataccia come a dire "Meno parli e meglio è, fesso."

Parlamentiamo ancora un po' e i due guerriglieri accettano che anche il Padre venga con noi. Lui perde tempo, dice che deve andarsi a cambiare. Tutti gli sguardi del paese, occhi indios, a mandorla nei bei visi scuri sotto i capelli nerissimi, sono su di noi.

Alla fine andiamo: il guerriglierino quindicenne davanti, col fucile più grande di lui, poi io e il padre che chiacchieriamo del più e del meno (lui si volta a salutare tutti i parrocchiani, con un sorriso a sessantadue denti bianchissimi nella faccia nera nera: "Hola Maria, como le pasa? Hola Ermenegildo! La pierna le duele?") e dietro il ventenne, che ha l'aria di un tenentino.


Nella strada di Torivio

La gente ci guarda muta. Attraversiamo il paese e arriviamo all'ultima casa, al limitare dei pascoli. Lì ci aspetta un gruppo di indigeni. Li riconosco dalle chontas, i bastoni ornati con nastri colorati: sono la Guardia Indigena, un gruppo disarmato ma molto ben addestrato che mantiene l'ordine qui e che si disputa con le FARC il controllo del territorio.

A capo c'è don Julio, l'Alcalde Mayor della Guardia, un vecchio dall'aria saggia, la pancia rotonda e un bel paio di baffetti ironici. I guerriglieri esitano, si fermano.

"Buenos dias, hermanos" li saluta Don Julio "todo bien?"

Inizia un dialogo pacato, gentile ma molto fermo. Il succo è: "Ragazzi, noi non abbiamo nulla contro la vostra lotta e rispettiamo le vostre idee, ma per favore voi rispettate le nostre. Questa è terra Paez da 500 anni, e l'abbiamo sempre difesa. Voi siete i benvenuti, ma vi rendete conto che non potete trattare così gli ospiti che sono sotto la nostra protezione. Perché lo fate? Spiegateci. Dialoghiamo, parliamo. Costruiamo una comprensione."

A volte è più facile affrontare le pallottole che le parole. I ragazzi farfugliano, cercano di fare i duri, spianano i mitra, ma non possono nulla contro la forza tranquilla della gente. E il silenzio della folla fa paura. Sento la pressione psicologica degli indigeni come se fosse un muro. I ragazzi riescono solo a ripetere, come una litania:

"Ordini, noi abbiamo degli ordini. Dobbiamo portare lo straniero al nostro campo."

A un certo punto don Julio suggerisce:
"Voi siete soldati, obbedite agli ordini, è giusto. Ma qui c'è una cosa nuova: il Comandante Ramòn non poteva sapere che lo straniero è nostro ospite, e che noi garantiamo per lui. Perché non andate dal Comandante e non gli chiedete che fare? Lui ha esperienza, saprà consigliarvi per il meglio."

Il ventenne, che si chiama Juan, alla fine cede:
"Va bene, vado io, ma Bernardo rimane qui col prigioniero."


Bernardo, guerrigliero

Bernardo è un ragazzino dai capelli a spazzola. Sopra il Kalashnikov più grande di lui, il viso ha ancora la dolcezza dell'infanzia. È indio, è di queste parti, e sente forte l'autorità del Cabildo.

Ci sediamo ad aspettare. Il tempo passa lento. A un certo punto gli dico:
"Beh, io ho sete. Vado a comprare una Gatorade, ne vuoi una anche tu?" (Qui è più facile trovare una Gatorade che un'acqua minerale).

Ha sete, è sudato, è nervoso, è confuso. Torno con due Gatorade e ci sediamo sull'erba, fianco a fianco, all'ombra, mentre la folla ci osserva in silenzio e Padre Peter chiacchiera con Don Julio come se fosse la domenica dopo la messa.

Esamino Bernardo, guardo la sua mimetica e le bombe a mano nelle buffettiere sdrucite, il suo AK 47 di terza mano, probabile residuato bellico dell'Angola fornito dai cubani. Ricorro al vecchio trucco d'apertura che ha funzionato coi guerriglieri di tutto il mondo, dal Chiapas a Timor Est.
"AK 47... un mitra ancora insuperato. Preciso, potente, affidabile. Ma lo sai perché si chiama così?"
Mi guarda curioso, un bambino sui banchi di scuola.
"Perché lo ha progettato un ingegnere russo, Mikhail Kalashnikov, nel 1947. Qua, dammelo, ti faccio vedere una cosa..."
Tranquillizzato dal mio tono tranquillo, mi passa il fucile. Lo afferro, controllo la sicura e rido:
"Punizione! Ai miei tempi, quando ero militare, mi dettero una settimana di cella per essermi lasciato portar via il fucile! To', tienilo, ma non lasciarlo mai a nessuno. È la tua difesa e il tuo miglior amico."
È un linguaggio che conosce bene. Mi guarda perplesso:
"Usted fué militar?"
"Sì, ufficiale di artiglieria" mento, ero artigliere semplice, per giunta imboscato. "Fai vedere la baionetta?"
Estrae una baionetta mal tenuta, arrugginita, col filo fatto male. Proprio un esercito di sfigati.
"Vergogna, Bernardo! Ti pare il modo di tenere una baionetta?"
Borbotta qualche parola di scusa, abbassa la testa. Sono riuscito ad entrare in rapporto con lui. E' sempre così. Chi usa le armi ha un disprezzo istintivo per i civili, e rispetta molto di più chi conosce le armi, anche se è un nemico.
"Quanti anni hai, Bernardo?"
"Quasi quindici."
E da quanto sei nella guerriglia?"
" Da due anni e mezzo."

Già. A dodici, tredici anni già li prendono, li addestrano, gli fanno il culo, e se qualcuno si stufa e scappa dalla mamma lo riacciuffano e lo fucilano sul posto. Quante ne ho sentite, di storie come queste, dagli indigeni di qui. Un ragazzino scappa di casa per una marachella o perché ha litigato col padre, va nella guerriglia e a quattordici anni è già sotto un metro di terra.

Bernardo beve a piccoli sorsi la sua Gatorade, lo sguardo perso chissà dove. Che tenero. Vorrei coccolarmelo, vorrei abbracciarlo, questo bambolotto indio e paffuto con la sua zazzera da marine, bardato di buffettiere di cuoio nero con i caricatori del mitra, con le bombe a mano, col coltellaccio mal tenuto e il Kalashnikov col calcio di plastica. Vorrei portarlo a spasso, leggergli Dante o Garcia Marquez, insegnargli a usare il computer. Fanculo, la guerra.

Passa un'ora, passano due ore (ma quanto volevano farmi camminare, 'sti cazzi di guerriglieri?) e finalmente ritorna José:
"Il comandante Ramòn dice che se il Cabildo si prende la responsabilità dello straniero, per lui va bene, e che ha la massima fiducia nel giudizio del Cabildo."


Don Julio, Alcalde mayor della Guardia Indigena

La Guardia Indigena sorride. È un'altra vittoria della linea della fermezza con cui gli indigeni del Cauca riescono a mantenere il controllo del territorio nonostante la strategia della guerriglia sia, ovviamente, proprio quella del controllo del territorio. È la storia di una lotta interessante, straordinaria, basata sulla dignità e la fierezza, coordinata dai saggi e dagli sciamani; una storia che un giorno o l'altro meriterà di essere raccontata.


Con Bernardo e Juan

Don Julio dà una pacca sulla spalla al ragazzo, io gli stringo la mano, e poi finisco anche per abbracciare i due guerriglierini, sudati e polverosi.


La Guarda Indigena di Tacueyó

Poi mi viene un'idea. Strappo un foglio dal mio taccuino e scrivo:

"Al Comandante Ramòn

Torivio, settembre 2003

Estimado Comandante Ramòn: grazie per aver risolto con umanità e buonsenso il nostro piccolo problema, nel rispetto del Diritto Umanitario Internazionale. Sono un giornalista italiano, sto facendo un servizio sui movimenti guerriglieri e, dopo le FARC e l'ELN, mi piacerebbe intervistare anche lei. Che ne direbbe di offrimi domani quel caffè che non ho potuto accettare oggi?

Cordialmente

E.B."


Nexedan, coordinatore della G.I. di Torivio

Lo dò ai due ragazzi che, carichi sotto il peso dei loro mitragliatori, si avviano nella calura su per un sentiero da capre, chissà dove, in cima alla montagna.

E poi assisto a un memorabile cazziatone che Nelson, il responsabile politico del Cabildo, dà a Luis Alberto, il giovane che era stato incaricato di proteggermi:

"Disgraziato, ma ti rendi conto? Se ce lo rapivano, se magari lo ammazzavano, lo sai che danno sarebbe stato per noi e per tutta la lotta di liberazione dei popoli indigeni? Vergognati!" L'indio sta mogio mogio a ricevere la gragnuola di insulti. A me sembra anche un po' esagerato, non è che ho corso poi questo gran rischio. O forse, come dice Jacopo Fo, la mia salvezza è che non capisco bene cosa mi succede intorno, e passo attraverso la vita come un sonnambulo sul cornicione, senza farmi male. Chi lo sa.

Intanto, da oggi, Nelson mi ha raddoppiato la scorta e mi ha affidato a Nexedan, il coordinatore della Guardia Indigena, un ragazzo sveglio e intelligente, che, assieme a Victor, mi segue passo passo, col walkie-talkie e la chonta di legno di palma ornata di nastri.








La mia ex casa a Bogotà.

Dunque: da dove cominciare?

Affrontiamo il toro per le corna. Ci sono diverse cose che non potevo scrivervi dalla Colombia, ma che adesso vi posso raccontare. Se penserete che io sia paranoico non potrò nemmeno darvi torto, ma due miei complici, Vadim Odinzov e Franco Gialdinelli, le hanno vissute praticamente in diretta, e potranno darvi qualche conferma.

L'Hotel la Opera, la mia (ex) casa a Bogotà, è di fronte al Ministero del Commercio Estero, a due quadras dal Parlamento, tre dal Palazzo di Giustizia e tre da Palacio de Nariño, dove sta il Presidente. Particolari su cui non mi ero mai soffermato più di tanto.

C'erano stati, sì, squilli misteriosi e telefonate strane, ma questa è ordinaria amministrazione.

Durante il primo viaggio mi aveva chiamato una colombiana che parlava un ottimo italiano: diceva di essere amica di una mia (inesistente) amica italiana, e che voleva incontrarmi, perché "lavorava alla Carcel Modelo e poteva essermi utile", ma non ci avevo dato troppo peso.

Anche quest'anno una telefonata simile, solo che stavolta la ragazza lavorava per il Governo, ed era amica di tale Carla Pisapia di Gallarate (che non conosco), che avevo incontrato alla Malpensa (falso), ma avevo pensato: vabbe', vogliono farmi sapere che sanno come mi chiamo e che sto alla Opera. Sai chi se ne frega. E' ovvio che sorveglino quest'albergo, vista la posizione.

Ma l'errore è stato probabilmente invitare alla Opera Juan Carlos Lecompte, il marito di Ingrid Betancourt, appena arrivato dalla sua disavventura brasiliana con l'Hercules francese e tutto il resto.

Lecompte è certamente controllato e intercettato. Forse qualcuno della sua coda mi ha messo gli occhi addosso e deve essersi chiesto: "Ma questo qui che cerca? Che vuole?"

Il secondo errore è stato invitare a cena alla Opera (ma cenare nel Mirador, guardando la Basilica di Monserrate alta sulle Ande e i tetti della Candelaria illuminati, è un'esperienza fantastica) due persone fondamentali in questo viaggio: la Signora e Il Cura.

La Signora è la Signora minuta ed elegante che già conoscete. Il Cura è un sacerdote di grande esperienza internazionale, sociologo ad Harvard, anni di vita tra i nomadi del deserto somalo e tra i guerriglieri del Caguan, amico personale di Manuel Marulanda, detto Tirofijo, capo storico delle FARC, il guerrigliero in attività più vecchio del mondo.

Di solito quando dobbiamo parlare di qualcosa spegniamo i cellulari e stacchiamo le batterie: altrimenti il cellulare, anche spento, diventa un fantastico microfono ambiente.

Ma quella sera non lo facciamo. Io racconto di Lecompte, dico che mi ha affidato un certo compito e soprattutto, visto che Marulanda pare abbia un cancro, dico: "Voglio intervistare Marulanda prima che muoia, fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia."








Agua aromatica.

La notte ordino un'agua aromatica. Me la porta Gabriel, il mesero di notte, buon amico. Gli do' anche mille pesos di mancia, li mortacci sua.

Cado in un bel sonno ristoratore. La mattina mi sveglio alle otto perfettamente riposato e pieno di energie. Ho la bocca secca: non ho acqua, mi bevo due tazze di agua aromatica. Mi riaddormento. Mi ricordo vagamente che mi sveglia il telefono verso mezzogiorno, mi scuoto da un sonno pesante, insolito per me. Con le palpebre di piombo e la bocca impastata rispondo a un'amica (lei poi mi dice: "Sembravi strano, ma che avevi fatto la notte?") e poi ripiombo in un sonno strano, pesante, fino alle due.

Cerco il quaderno blu rivestito di tela jeans su cui annoto tutto, indirizzi, interviste e incontri. Non lo trovo. Bah, l'avro' lasciato al ristorante. Non c'e'. Lo cerco al bar, alla receprion, poi ispeziono la camera centimetro per centimetro. Non c'e'. Esco, vado alla libreria e al supermercato, gli unici due posti in cui potrei averlo lasciato ieri. Niente.

Per tutto il giorno ho un fastidioso mal di testa - cosa assolutamente inconsueta, per me.

Ricostruisco, e concludo che il taccuino era in camera mia al momento di addormentarmi, perche' avevo tolto la fattura di un ristorante; che infatti è nella busta delle ricevute. Evidentemente e' sparito durante la notte. E non hanno preso nient'altro: i soldi sono nel portafogli, le carte di credito sul tavolino. Per fortuna avevo preso l'abitudine di chiudere ogni notte la macchina fotografica e il computer in cassaforte.

La sera a cena Gabriel, il mesero, ha un'aria strana, come di rammarico. Il personale del'albergo ha cambiato atteggiamento. Da ospite gradito che ero, cominciano a trattarmi come un problema.

Il giorno dopo telefono alla Signora, le chiedo se la posso vedere subito. Mi invita a pranzo con un suo amico, Ramon, ex comandante dell'M19, la formazione guerrigliera che si è sciolta ed è tornata alla vita civile. Li raggiungo in un ristorante costeño: mangiamo róbalo fritto e beviamo agua de panela con limon. Poi stacchiamo le batterie dei cellulari e racconto quello che mi è successo.

Ramon ride:
"Embè? Sei schedato. Bella scoperta. Il giorno che Uribe si è insediato alla presidenza le FARC gli hanno sparato ventiquattro pipas (missili artigianali fatti con le bombole del gas). E tu vai a stare in un albergo a cinquecento metri da lui?"
E lei:
"Ci sono andati leggeri. A me arrivano le minacce di morte per telefono e sull'email. Hai fatto analizzare un campione di agua aromatica?"
"No, non ci ho pensato." Mi sento un po' tonto.
"Vabbe'" interloquisce Ramon " Se ti hanno dato il burundanga (*) e ti hanno fatto parlare, gli hai raccontato tutto. Ma in fondo, poi, cos'avevi da raccontare? Che volevi intervistare i vertici delle FARC? Non è una cosa che li preoccupi, il loro problema primario è la sicurezza dei politici qui a Bogotà."
"Che ne dite, ne parlo con la mia ambasciata?"
"Mah. Andare alla tua ambasciata non serve a nulla" fa Ramon. "Piuttosto sta' attento che non ti attacchino un'etichetta avvelenata, e' un gioco che gli piace tanto."
La Signora incalza:
"Sì, Enzo, stai attento, per piacere. Potrebbero appiccicarti addosso qualsiasi storia. In questo periodo Reyes sta cercando un incontro con l'ONU e ha l'appoggio dell'Europa per una soluzione pacifica della guerra. Magari qualcuno ha interesse a dimostrare che gli europei sostengono la guerriglia - forse l'hanno fatto anche con i tre irlandesi."
(Parla dei tre irlandesi arrestati due anni fa con l'accusa di aver addestrato le FARC alla gurerriglia urbana).

Chi mi tranquillizza del tutto è il Cura: gli telefono che debbo vederlo, lui mi carica in macchina e mi porta in un centro commerciale. Ci sediamo al Caffè Oma, ordiniamo un tinto (caffè nero) stacchiamo le batterie dei cellulari e gli racconto la soria dell'agua aromatica. Lui ci pensa un po', poi mi fa:
"Guarda, tutto sommato non c'è niente di strano. Stanno facendo il loro lavoro. Di sicuro sanno che due anni fa nel Caguan hai intervistato Reyes, Gomez e Trinidad (**): ti hanno schedato e ti intercettano. Il taccuino te l'hanno rubato per dimostrarti che possono entrare nella tua stanza come gli pare. Vogliono spaventarti. Io non mi preoccuperei più di tanto. Vattene per una decina di giorni da Bogotà, cambia albergo e vedrai che ti lasceranno in pace. Intanto, stanotte, perché non vieni a dormire da noi?"

Così faccio come Andreotti durante la guerra: mi rifugio in convento.

(*) Burundanga - una specialità tipicamente colombiana, usata generalmente dalla malavita a scopo di rapina o di violenza sessuale, e somministrata ai malcapitati mediante bevande o sigarette: una volta era il succo della datura, adesso si usa la scopolamina.

(**) Raul Reyes, Joaquin Gomez, Simon Trinidad - tre dei massimi comandanti delle FARC. Reyes è il "Ministro degli Esteri" delle FARC e fa parte del Secretariado, il più alto livello di comando: sette persone in tutto tra cui, primus inter pares, siede Tirofijo.







Dal Tiempo di oggi.
Otto turisti stranieri sequestrati in Colombia.

Urca, e io che contavo sul fatto che le FARC non sequestrassero gli europei.


Al menos ocho turistas extranjeros fueron secuestrados en la Sierra Nevada de Santa Marta

Se trata de un español, cuatro israelíes, dos británicos y un alemán. El plagio ocurrió el sábado por la tarde pero fue denunciado hoy por indígenas.

Una fuente de la embajada de España en Bogotá dijo a EFE que en total fueron quince los secuestrados, pero siete de ellos ya quedaron en libertad, sin que se precisaran los pormenores.

Una vez enterado del secuestro, el propio presidente colombiano, Alvaro Uribe, se puso al frente de las operaciones de rescate para lo cual se destinaron 1.500 hombres, 9 helicópteros y un avión plataforma.

La identidad de los rehenes no ha sido precisada, a la espera de que las autoridades colombianas entreguen más detalles.

La representación diplomática española en Colombia está a la espera de conocer la identidad del súbdito ibérico para, seguidamente, ponerse en contacto con sus familiares e informarlos de la situación.

El secuestro masivo fue denunciado por líderes de los pueblos aborígenes que viven en esa cadena montañosa, cuyos picos nevados cercanos al mar la hacen única en el mundo.

El director operativo de la Policía Nacional, general Luis Alfredo Rodríguez, dijo que las versiones de los aborígenes atribuyeron el secuestro de los extranjeros a rebeldes de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc).

Las quince personas fueron secuestradas cuando hacían un recorrido por la Sierra Nevada, que tiene como principal atractivo la llamada Ciudad Perdida, un antiguo enclave indio construido en piedras.

La identidad y nacionalidad de los turistas no han sido establecidas por las autoridades, que pusieron en marcha una operación militar y policial para tratar de rescatar a los cautivos.

La Sierra Nevada de Santa Marta está localizada a unos 1.000 kilómetros al norte de la capital colombiana, en territorio de los departamentos del Magdalena, Cesar y La Guajira.

Varios reductos de las Farc y las ultraderechistas Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) mantienen una disputa por el control de la cadena montañosa, en la que también hay cultivos de matas de coca y amapolas, lo mismo que laboratorios para la elaboración de drogas.

Varios gobiernos, entre ellos el de Estados Unidos, en reiteradas oportunidades han recomendado a sus ciudadanos no viajar a Colombia.







Colombia: liberato un ostaggio israeliano.

Hanno liberato un ostaggio israeliano, probabilmente perché la sua compagna li avrebbe impacciati nella fuga, ma hanno portato via gli altri sette, di cui quattro europei. Era tanto tempo che le FARC non rapivano un europeo (l'ultimo di cui so era Gabriele Giusto, il papà di Marzia, che probabilmente, però, era considerato un proprietario terriero venezoelano), e la politica delle FARC è sempre stata quella di cercare di mantenere l'appoggio dell'Europa.

Ora, visto che dalle parti della Ciudad Perdida (ricordate? Uno dei miei obiettivi di prima della partenza) ci sono anche gruppi paramilitari, è anche possibile che loro abbiano rapito gli europei per dare a Uribe la scusa per scatenare 2.000 uomini contro le FARC (che non hanno rivendicato il sequestro, ma questo non vuol dir nulla).

Solo un'ipotesi, ripeto. Pure dietrista. Ma in questa guerra sporca c'è da aspettarsi di tutto.


Israelí liberado relata el secuestro masivo en la Sierra Nevada de Santa Marta

Ran Atzmon acompañaba a sus cuatro compatriotas, dos británicos, un español y un alemán que fueron plagiados presuntamente por las Farc.

Atzmon habló desde Colombia en entrevista telefónica para la radio del Ejército de Israel y contó que fueron retenidos brevemente por secuestradores el viernes y luego abandonados, atados de pies y manos, en un sector de la sierra.

"Hombres armados que tenían aspecto de militares nos despertaron en el edificio donde dormíamos a las cinco de la mañana, después nos separaron en dos grupos mientras nos amenazaban con sus armas", contó.

Luego, se ordenó a los turistas "ponerse botas, no sandalias, y llevar un mínimo de equipaje, sin bolsas de dormir, y hacerlo a la mayor brevedad posible", agregó.

?"Todos los miembros de nuestro grupo, que incluía los guías colombianos, fueron atados y los hombres nos advirtieron de que la puerta estaba minada. Algunos de nosotros consiguieron desatarse y saltar por la ventana", añadió.

"Los secuestradores decidieron no llevarme con el resto porque pedí quedarme con mi amiga Dana, y pensaron que posiblemente ella retrasaría su fuga", afirmó este israelí. También señaló que durante el secuestro los miembros de la guerrilla "utilizaron el mínimo de violencia, ni nos insultaron, ni nos golpearon".

Se cree que los captores son miembros de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), dijo el general Luis Alfredo Rodríguez, jefe de operaciones de la Policía.







Le FARC negano il sequestro.

Le FARC negano di aver sequestrato gli otto cittadini stranieri.

Di solito le FARC non commentano sui sequestri.

Prende più corpo l'ipotesi di una provocazione dei servizi: è sembrato troppo pronto Uribe a dislocare 1500 militari e nove elicotteri, più un aereo americano.


Farc niegan haber secuestrado a ocho turistas extranjeros en la Sierra Nevada de Santa Marta

El pronunciamiento lo hizo el Secretariado del grupo insurgente a través de su página de Internet.

Los turistas fueron secuestrados el pasado viernes y las autoridades había atribuido el hecho a guerrilleros de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc).

"Es falso que nuestras unidades guerrilleras tengan? responsabilidad en el secuestro de ocho excursionistas extranjeros en la Sierra Nevada de Santa?Marta, el pasado fin de semana", señaló la nota.

Añadió que "las operaciones del terrorismo de Estado contra los excursionistas de la Sierra Nevada y la población civil de todo el país son ejecutadas por la inteligencia militar colombiana con la finalidad de mostrarle resultados al señor?Alvaro Uribe Vélez, mediante el montaje de un rescate por la fuerza vivos o muertos de los ocho extranjeros".

Según el comunicado, las operaciones militares de rescate se realizan también "con la intención de desviar las críticas que está recibiendo el presidente Uribe" por fustigar a las organizaciones no gubernamentales?de derechos humanos.







Un invito che non si può rifiutare.

(Da dove ricominciare? Ho tante cose da raccontarvi. Invece di seguire l'ordine cronologico andrò in ordine sparso. Vi avevo lasciato a metà dopo il mio patetico tentativo di sequestro. Ricordate che avevo inviato un biglietto al Comandante Ramòn? Ecco cosa successe il mattino dopo).



La mattina dopo arriva da me, preoccupato, Archimedes, l'alcalde di Torivio:

"Enzo, stamattina due gerriglieri sono andati da Padre Peter, ti cercavano. Hanno detto che dovevi essere a Tacueyó alle dieci, se no ti venivano a prendere loro qui a Torivio."

Mmm... preoccupante. Che il comandante Ramòn ci abbia ripensato? Questi qua hanno il potere delle armi, sono insidiosi, abituati a tendere trappole e a tradire la parola data. Quando la mia amica cara, Marzia, andò sulle montagne dell'Arauca a pagare alle FARC il riscatto pattuito per liberare il padre, si sentì rispondere che le cose erano cambiate, i soldi non bastavano più e che ne doveva pagare altrettanti.

Teniamo un breve consiglio con Manuel, (che è un ex comandante dell'M19, il movimento guerrigliero e idealista che è rientrato nella legalità durante gli Anni '90) Ezechiel (il leader del movimento indigeno) e Nelson, responsabile politico del Cabildo. L'orientamento è quello di non andare, di inventarsi una malattia dipomatica. Ma in fondo, mi dico, ho scritto al comandante Antonio un bigliettino gentile. Vorrà farsi intervistare, i guerriglieri sono sempre alla ricerca di legittimazione pubblica. E poi sono terribilmente narcisisti.

"Facciamo così" propongo " Unn'ho mai visto 'n'omo in boca a 'n'antr'omo, come dice un mio amico pisano. Io vado. Mi porto Don Julio, Nexedan e altre due guardie indigene e lo vado a trovare. Che sarà mai..."

Li convinco, accettano. Partiamo sulla jeep di Tullio, una vecchia Toyota scassata con i copertoni lisci lisci: a ogni curva le ruote sbandano sulla strada di breccia, ma miracolosamente Tullio riesce a mantenerla sempre in carreggiata. Questi colombiani guidano come pazzi. La strada è proprio una stradaccia, saltiamo paurosamente, ci copriamo di pollvere. II rumore è così forte che per sentirci dobbiamo urlare.
Io chiedo: "Nexedan, il tuo è un nome indigeno?"
"No!" urla "è un nome italiano!"
"Ma va'?"
"Sì, quando nacqui mio padre aprì un giornale italiano, lesse questo nome, gli piacque e me lo mise!".
Già. Probabilmente era la pubblicità di un medicinale. Meno male che non erala pubblicità del Guttalax.








Il Comandante Ramòn.

Arriviamo a Tacueyó, proseguiamo per San Diego. Davanti alla bottega - merceria - ristorante - bettola c'è José, uno dei miei mancati rapitori, che ci aspetta.
Ci saluta con simpatia e ci fa strada: lasciamo Tullio a guardia dell'auto e, a piedi, prendiamo un sentiero scosceso, che si fa più stretto man mano che si sale. La terra è giallo ocra come nelle colline senesi. Ci addentriamo nel fianco della collina. La guardia indigena cammina svelta nell'aria rarefatta dei duemilatrecento metri. Io comincio ad ansimare, ma non posso fare la figura di quello che non ce la fa. Il sentiero si fa più duro, sale ripido. Puff, puff. Quando penso che non ce la faccio più, misericordioso, appare un cancelletto di legno basso. A guardia un tizio in jeans e fucile a pompa. E' l'ìngresso dell'accampamento.

Facciamo ancora venti metri in discesa, tra gli alberi: ci viene incontro, cordiale, un signore brizzolato in maglietta nera e pantaloni mimetici, cinturone, pistola alla cintura, cappellino mimetico floscio. Somiglia vagamente a Sean Connery. E' il comandante Ramòn.

"Bienvenidos, Bienvenidos!" ci stringe le mani. Il vecchio Don Julio, dignitoso, gli stringe la mano con solennità. Gli altri sono guardinghi. Questi signori sono pur sempre quelli che, fino a un paio di anni fa, ammazzavano i Paez per il controllo del territorio.







Approssimativo anche il caffè.

Anche il campo è approssimativo, disordinato, mal tenuto: ben diverso dai campi delle FARC, così rigorosi e disciplinati. Qui c'è in giro un'aria rilassata, approssimativa, casuale, un po' zingaresca.

Il comandante ci accoglie con calore perfino eccessivo: "Benvenuti, benvenuti! Prego, sedetevi. Muchachos! Caffè!".

Due guerrigliere portano una pentola annerita. E' approssimativo anche il caffè: tiepido, acquoso, sa di fumo. Evidentemente è vecchio, riscaldato frettolosamente sul fuoco. Niente a che fare col caffè nero, ricco e bollente che mi ha offerto ieri un comandante FARC. Si sa: il diavolo è nei particolari.

Dal villaggio arrivano due ragazzini, arrancando con fatica su per il sentiero scosceso che porta all'accampamento. Sono carichi come muli: un sacco di riso e un sacco di patate. La loro cena. La ragazzina, Angela, ha sedici anni e un paio d'occhi bellissimi.







La Schiavitù di Carattere Epistemologico.

Ramón è un guerrigliero di matrice marxista-leninista, nasce come tanti da quel crogiolo di ribellismo, ingiustizia sociale e voglia di risolvere le situazioni con la pistola alla mano che è sempre stata tipica della Colombia (*). Ha partecipato a un paio di imprese importanti, ha rapito il fratello di un presidente, è stato in carcere ed è stato liberato per intercessione di Fidel Castro, che ha fatto da tramite tra il suo gruppuscolo e il governo colombiano. E ora se ne sta acquattato con una quindicina di ragazzini sulfianco di una montagna, due case con le pareti di argilla cruda e piccole tende nascoste in un bananeto. Di fronte, il fianco del monte è completamente bruciato: per vedere da lontano chi arriva.

Ci sediamo su una panchina di bambù e il Comandante Ramon comincia a concionare:

"Qual è la differenza tra noi e le FARC? Che loro sono un esercito, noi un movimento politico-militare. Siamo una Necessità Storica! E perché una necessità storica? Perché il popolo colombiano ormai Ha Perso la Speranza! E perché ha perso la speranza? Prima di tutto ripassiamo le nostre basi ideologiche. Pablo! Chiama i muchachos, che sentano tutti, è fondamentale!"

Arrivano, l'uno dopo l'altro, i muchachos: una quindicina di ragazzi e ragazze tra i tredici e i vent'anni. Un gruppuscolo scaciato, uniformi abborracciate e approssimative, jeans e magliette sotto le buffettiere sdrucite piene di bombe a mano, poche mimetiche complete, berrettini di vari colori (uno col marchio Nike). I coltelli sono arrugginiti e male affilati, le armi varie: Kalashnikov, qualche Galil, un fucile a pompa, una doppietta col calcio segato, un Uzi e perfino un vecchio FAL di fabbricazione europea. I mitragliatori sono sporchi e impolverati, i calci incrostati di fango. E sarebbero guerriglieri, questi?
Sciatti e approssimativi come il loro caffè.







Una mogliettina cicciottella e paciosa.

Arriva Maria Teresa, la ragazza più grande, una paffutella con la faccia paciosa da brava casalinga. Ha i capelli lunghi molto curati, una maglietta nera con la faccia di Che Guevara, stivali di gomma e pantaloni da cavallerizza. Gli si siede al fianco, appoggia il mitra alla panca di bambù e lo prende sottobraccio, in un gesto che rivela un'intimità tranquilla, un po' ammiratrice e un po' protettiva. Una brava moglie, che ama il marito e sorveglia paziente che non dica troppe sciocchezze.
Finita la lunga concione, Ramón mi invita a visitare il campo: tendine basse nascoste tra i banani e gli alberi della selva. I ragazzini col mitra ci seguono schiamazzando e ridendo, come una scolaresca. E' ovvio che fanno una vita noiosa, su queste montagne, e qualsiasi visita li eccita. Katiusha, la cagna dell'accampamento, un po' dogo argentino e un po' golden retriever, caracolla tutta eccitata, annusando da uno stivale all'altro, ma senza mai abbaiare. Chissà perché i cani della guerriglia non abbaiano mai? Gli taglieranno le corde vocali?

Ramón tiene per mano teneramente Maria Teresa, ci mostra la loro alcova, una tendina bassa tra gli alberi, poi chiede:

"Su, una foto insieme alla mia vecchietta. Ma prima copriamole il viso con un paliacate. Io ormai sono bruciato, la mia faccia la conoscono, ma lei deve fare la guerriglia urbana."

Le aggiusta teneramente un fazzoletto nero, lei si controlla il trucco in uno specchietto di plastica azzurra e poi si mettono in posa sorridendo, come una coppia di villeggianti di mezz'età sul moscone a Cesenatico.







Cuoricino di tenebra.

Si accoccolano tutti intorno al Capo, e lo ascoltano con occhi rapiti mentre lui sproloquia:

"Dicevamo, il popolo colombiano ha Perso la Speranza. E perché ha perso la speranza? Prima di tutto bisogna ricordare cosa diceva Engels, che la Libertà è conoscere le Necessità. Una società liberata è quella che ha risolto le Quattro Necessità Fondamentali. E quali sono le necessità fondamentali?"

Conta sulle dita, fulminando con gli occhi i suoi muchachos:
"Primo, la Necessità Fisica! Bisogna Salvare il Pianeta! Secondo, la Necessità Biologica! Bisogna Sconfiggere la Morte! Terzo, la Necessità Economica! Bisogna sviluppare Produzione, Abbondanza e Automatizzazione! Quarto, liberarsi dalle Schiavitù di Carattere Epistemologico! Bisogna imparare a Sfruttare la Conoscenza!"

E continua a lungo, mescolando Marx e Pol Pot, Fidel Castro e Adorno, la Terza Internazionale e il Riscaldamento Globale. Ogni tanto, negli occhi castani un po' fuori dalle orbite, fa capolino un lampo di follia.

Angela dai Begli Occhi, persa nei sogni dei suoi sedici anni, lo ascolta rapita. Quel guazzabuglio ideologico è il suo nettare. Chissà se la sera, in tenda, ripete in coro coi suoi compagni:
"Terzo, la Necessità Economica! Quarto, la Schiavitù di Carattere Epistemologico!" e si rigirano in bocca quelle parole magicamente incomprensibili come un mantra, quello che li fa sentire Eletti. La spinta ideologica in nome della quale poi il Capo li invia a sequestrare i commercianti, a taglieggiare i contadini, a riscuotere la vacuna, il vaccino: il dieci per cento del raccolto, con cui il possidente o il coltivatore possono stare tranquilli tutto l'anno.

Dove ho già visto questa specie di Curcio irrancidito, perso in sogni di rivoluzione assieme alla sua piccola compagnia di Peter Pan armati di Kalashnikov? Già: Conrad, Cuore di Tenebra. Ma questo qui è un Kurtz dei poveri, non ha la grandezza tragica ("L'orrore! L'orrore!") dell'Uomo dell'Alto Congo, né la maschera di Marlon Brando nell'Apocalypse di Coppola. Questo vive sul fianco della montagna tra le nebbie di ideologie confuse, circondato dai suoi cuccioli che lo ammirano e lo temono - e se uno dei cuccioli cercherà di disertare, i suoi compagni lo riacchiapperanno e lo fucileranno senza la minima esitazione. Sono crudeli, i ragazzini.







Una figura comica? Tragica? Tragicomica?

Ramón organizza un'esercitazione. I ragazzi vanno su e giù, fanno finta di rastrellare un villaggio, di ispezionare l'accampamento che conoscono come le loro tasche. Quando il comandante li fa schierare coi fucili puntati, e ordina "Listos?… Fuego!" la raffica parte disuguale.

"Siamo una formazione di guerriglia urbana, non siamo un esercito" si scusa "Non sono importanti le nostre capacità militari, come per le FARC. Noi siamo soprattutto un gruppo politico."
Già, penso. Una Necessità Storica di Carattere Epistemologico.

"Quelli? Sono un gruppetto di sbandati" commenta un ex comandante dell'M19 che li conosce bene "Ho cercato di discutere col loro comandante, ma è impossibile. Hanno un'ideologia politica abborracciata, senza nessuna vera elaborazione teorica alla base; un guazzabuglio del tutto incomprensibile. Le FARC li tollerano perché gli sono utili, ogni tanto li utilizzano per fare qualche lavoro sporco, un sequestro o un'esecuzione che non vogliono firmare. Sopravvivono, ma oramai sono al di fuori di qualsiasi logica di lotta politica."

E intanto il Comandante Ramón, solitario in cima alla montagna con la sua brava mogliettina rotondetta e la sua corte di ragazzini affascinati dall'ideologia e dal potere delle armi, trascina la vita come un Peter Pan invecchiato, masticando vaghe idee di riscatto sociale, compiendo qualche sequestro, condannato ormai ad essere rivoluzionario per sempre, andando verso una vecchiaia senza alternative. Come un archivista del catasto che vede avvicinarsi la pensione. Come un vecchio bullo romagnolo condannato ad essere giovanile fino alla morte, a continuare a ballare il liscio e scoccare occhiate assassine alle signore, nonostante i rotoli che strabordano dalla cintura e i peli bianchi che spuntano, assieme alla catena d'oro, dalla camicia spalancata sul petto.

Povero Comandante Ramón. Povero Peter Pan invecchiato. Povero Kurtz della mutua. Sarebbe una figura quasi comica, se gli occhi dei ragazzini che lo seguono adoranti non ricordassero che invece è tutta una storia di sangue, di sequestri, di uccisioni e di vite buttate.



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